Multifonia (II)

Lettera a Luca Ricci
7 luglio 2020 

Caro Luca,

provo a rispondere alla tua richiesta di definire il significato che attribuisco al termine “multifonia” che ho usato in alcuni miei scritti e nelle conversazioni con te. Premetto che quanto sto per esporre non ha, nelle mie intenzioni, alcuna pretesa musicologica. Si tratta piuttosto di un tentativo di definire dimensioni compositive e percettive, il cui scopo è eminentemente quello di chiarire a me stesso i miei impulsi creativi. Spero possa esserti utile per la tua tesi.

Uso il termine “multifonia” per indicare una forma di polifonia le cui “voci”, ovvero le singole identità sonore che la costituiscono, raggiungono un livello particolarmente elevato di compenetrazione reciproca dissolvendosi nell'accadere globale e, al tempo stesso, possono essere animate da forze autonome e non eteronome.

La realtà sonora così generata risulta profondamente organica in virtù della convergenza percettiva delle sue formanti; all'organicità dell'esito, però, concorre con altrettanta importanza la divergenza delle individualità sonore coinvolte. Nella polifonia non multifonica, infatti, è possibile percepire e decifrare un principio ordinatore che informa le singole correnti che partecipano al fenomeno acustico complessivo. Nella multifonia tale principio, sempre che sia in atto, non è più accessibile alla percezione né all'interpretazione razionale, e le singole formanti appaiono mosse da forze spontanee.

L'organismo che deriva dalla contemporaneità di fatti sonori così fortemente individuati, eppure così compiutamente risolti l'uno nell'altro, appare quindi accadere a causa di un'energia interna propria. È un processo apparentemente autopoietico che dà vita a un flusso sonoro unitario e al tempo stesso polivoco, che appare animato da dinamiche non riconducibili all'atto creativo di un'individuo ma scaturite da energie mentali collettive o archetipiche, che scorrono sotto la corteccia della volontà consapevole.

La Lamiera HN è uno degli strumenti che più utilizzo per ottenere la multifonia. Nelle composizioni per lamiera solista, per esempio, perseguo non l'emissione di fatti sonori nettamente distinti tra loro, ma la messa in vibrazione dell'intero corpo dello strumento, producendo un suono il moto delle cui formanti viene articolato attraverso sottili differenziazioni della tecnica esecutiva. Ne deriva un flusso sonoro fortemente unitario, eppure ricco di correnti acustiche interne.

Le composizioni che sfruttano polifonicamente più lamiere, a loro volta, raggiungono un elevato livello di integrazione tra le fonti sonore, proprio perché queste ultime hanno un carattere di quasi-totalità spettrale che fa sì che ogni lamiera occupi tendenzialmente lo stesso ambito frequenziale delle altre e non possa stagliarsi con evidenza all'interno del panorama acustico. Le differenze articolatorie tra le fonti sonore, però, sono amplificate dal fatto che la parte di ciascuno degli esecutori è concepita secondo il Sistema HN che, come sai, è un sistema musicale che prevede il coinvolgimento di tutto il corpo dell'interprete, e compone il processo performativo-sonoro secondo parametri in parte oggettivi e in parte esperienziali. Ogni esecutore, quindi, attiva la propria voce strumentale a partire da dinamiche motorie e mentali fortemente individuali, poiché non esiste un'esperienza interiore uguale all'altra. Nei miei appunti utilizzo il termine “polisolistico” per indicare questa pienezza d'autonomia delle singole voci strumentali, che mi permette di ottenere la multifonia, ovvero una pluralità di soggetti che, senza essere riducibili a un principio unificatore totalizzante, contribuiscono alla creazione di una globalità organica e carica di senso.

Un abbraccio

Dario