Chiara Andrich e Dario Buccino: perfino la felicità.

di LELIO GIANNETTO

Il 25 marzo 2013, presso il Cinema De Seta, ai Cantieri Culturali della Zisa di Palermo, Lelio Giannetto ha tenuto un discorso introduttivo in occasione dell’anteprima di “Perfino la felicità”, un film documentario di Chiara Andrich sulla musica di Dario Buccino, prodotto dal Centro Sperimentale di Cinematografia. 
Pubblichiamo qui il testo integrale della presentazione di Lelio Giannetto, per gentile concessione dell’autore. 

Non sarò breve! Ve lo dico subito… e quando mi capiterà più un’occasione del genere...

Non userò il linguaggio della filosofia, ma nemmeno farò filosofia del linguaggio. Non ne sono capace, dell’uno come dell’altra.

Così recita l’edizione straordinaria pensata ad hoc per questa circostanza de Il contrabbasso parlante, un fantomatico romanzo a puntate, una specie di serial killer d’intuizione pseudo-filosofica: “Il falso storico, come la politica, mangiano della stessa minestra, proprio come chi amministra”. Avete capito tutti? No? Nemmeno io: è sulla comunicazione per equivoci o sulla non-comunicazione che si costruiscono grandi verità.

L’illusione di poter vivere la follia del diverso, del nuovo, del diverso-più-che-nuovo. L’illusione che frega “Perfino la Felicità”.

Ascoltate ogni parola di Dario Buccino, anche nell’immagine che si porta addosso sembra quasi un povero Cristo, una specie di Messia del Senso attuale, più che contemporaneo, di più che contemporaneo. Ogni suono che emette ha un senso. Anzi: è Senso puro. Forse è proprio qui la chiave dell’universo di Dario Buccino: nella differenza tra avere ed essere, e forse qui, più che altrove, questa congiunzione tra ausiliare e copula si sovrappongono, si congiungono, si congiungono e ricongiungono, scopano alla follia, con selvaggia, ma pienissima consapevolezza, producendo amore, senza, o meglio, oltre la retorica dei vecchi linguaggi otto-novecenteschi. È l’amore ideale del III Millennio. Per chi se ne potrà accorgere. Non ci credete? Osserverete nel film le corde vocali di Buccino: vi sembrerà una visita ginecologica…

Chiara Andrich, sensibile alle foglie e capace di assupparisi le peggiori, o le migliori, relazioni comunicanti tra senso, suono e immagine, ha colto e raccolto, i segnali di senso che in fondo la sua chiara, fresca, dolce e profonda sensibilità gli consente. Se a ciò aggiungiamo la naturale capacità femminile di procreare e partorire sempre il nuovo, o il diverso-più-che-nuovo, il giocherello è pressoché già conzato…

Doveva essere l’Anno del Signore 1993, o l’anno accademico ’93-’94 non ricordo di preciso, ma qualche anno doveva pur essere. Era di certo un anno senz’h perché di averi ne avevamo pochi, sia chi vi parla (o chi ha già scritto) sia-chi-sia (ovvero sia-che-sia) l’oggetto/contenuto di questo film; mentre, chi ha realizzato lo stesso film era pressoché una ragazzina, forse nemmeno mestruata, in effetti non glielo chiedemmo, anche per la poca confidenza di allora, ma questo ‘in effetti’ poco c’interessa a meno che di effetti speciali, ma forse di speciale è già tutta la situazione in sé.

In quell’anno-senz’h l’illuminato (come una fabbrica – qualcuno ricorda “La Fabbrica Illuminata” di Luigi Nono?) Istituto di Storia della Musica dell’allora Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo realizzò una serie di “incontri con i compositori” cui partecipò anche chi vi parla: e non ho ancora ben capito il perché, non avendo mai potuto conoscere il lume della scienza compositiva, ma ben conosco “Lumen Lumen”, un libro di Nino Vetri pubblicato da Sellerio (che vi consiglio) e che altro non è che il titolo di una canzone popolare Rumena (e qui mi fermo).

Durante una di queste circostanze quasi rumene dell’Istituto di Storia della Musica di via Emerico Amari (Dio salvi la Regina e anche l’Istituto), conobbi una persona molto speciale (già che siamo in tema di progetti speciali) che oggi è per fortuna ancora tra noi e si chiama Giovanni Damiani, un vero Komponist, un vero compositore simpatizzante della Seconda Scuola di Vienna anche in quanto elemento attivo della Seconda Scuola Siciliana in cui rientra a pieno titolo, oltre il compianto Federico Incardona, anche Marco Crescimanno, allora, come Chiara Andrich, forse anche lui non mestruato.

E così, tra una storiella e l’altra, finalmente Giovanni Damiani diresse una rassegna di musica contemporanea dal titolo Idea di Una Musica dove, fin dal titolo a carattere esclusivo, percepivo una certa forma di razzismo intellettuale. Poiché la mia natura non mi lascia indifferente a certe soverchierie, forse per equilibrio o equilibrismo naturale delle classi subalterne, decisi di partecipare per testimoniare anche l’esigenza d’altro rispetto al totalitarismo elitario della casta e dell’ego dei compositori con la Kappa maiuscola. In quella circostanza conobbi dal vivo la musica di Dario Buccino per via di un’esecuzione di un brano per violino solo che a me parve eseguito magistralmente da Marco Rogliano. Dario Buccino, negli anni a venire, smontò questa mia convinzione – e oggi, essendo stato maggiormente a contatto con la sua idea di musica e/o di composizione, posso intuire meglio le ragioni del suo quasi dissenso di allora.

Ad ogni modo: a me, che provenivo dal rigetto ideologico e politico della composizione oggettuale, la musica di Dario mi parve molto simile, molto assonante a quella pratica musicale (ed esistenziale) che spesso è indicata come improvvisazione radicale, specie sotto l’aspetto del dato sonoro.

Trovavo che il processo compositivo di Buccino fosse molto simile al processo della costituzione musicale nelle pratiche improvvisative, meglio in quelle dove si pratica l’improvvisazione fin dalla radice della struttura compositiva, quella per intenderci identificata come improvvisazione radicale proprio perché non è dato conoscere, prima della sua stessa esecuzione, il dato fenomenico: il pubblico, come il musicista che suona (o i musicisti, se il contesto è più orchestrale), non hanno idea di ciò che potrà avvenire dall’emissione del primo suono alla conclusione del concerto. Mi accorsi però, solo successivamente, che nel caso di Buccino di tutto si trattava meno che di improvvisazione radicale, libera o meno che fosse.

Cercai quindi un contatto con lui maturando l’idea che nessuno meglio di me avrebbe potuto capire, amare ed eseguire le sue composizioni. Lo andai a trovare nella sua casa di Milano: sul capire e amare ci siamo intesi subito. Sul terzo punto, l’eseguire, mi accorsi solo lì della sua follia geniale, ben lontana dal mio modo naïf di considerare l’interpretazione della sua notazione e ci levai mano fin da subito. Sorgeva però in me l’esigenza di far conoscere questa, come altre esperienze di pensiero-e-azione-attraverso-i-suoni, a quante e quali più persone possibili.

Era quindi il processo, il processo di costituzione della musica che poteva avere una certa qual assonanza, dei punti di contatto tra il procedere della costituzione musicale nelle pratiche d’improvvisazione radicale e il sistema HN di composizione della musica di Dario Buccino. Ma qui non vado oltre: non basterebbero 3 anni di corso universitario per esaurire l’argomento. Peccato però che di questi argomenti non se ne parla né in sede universitaria, né altrove. Tranne che al Centro Sperimentale di Cinematografia… ooops: giusto oggi pomeriggio presso il Dipartimento Fieri-Aglaia si è svolto un laboratorio di Buccino sul sistema HN

Grazie a Curva minore ebbi la possibilità di organizzare, a partire dal 1999, IL SUONO DEI SOLI la rassegna di musica contemporanea che ha visto esprimere, tra le tante forme di pensiero musicale, molte iniziative davvero innovative del panorama nazionale e internazionale e fu in una di queste circostanze la prima volta che Dario si esibì a Palermo con un concerto realizzato con il suo organo di metallo, la lamiera d’acciaio, coinvolgendo tra l’altro uno stuolo di giovani studenti di vari licei della nostra Città. Pietro Misuraca, tra i pochi sempre attento alle buone nuove della musica, rimase ‘stordito’ non solo dall’estrema genialità compositiva, ma dal modo in cui da un foglio di lamiera potesse trasparire, e non solo evocativamente, l’universo panico della concezione emotiva dell’uomo. Misuraca allora ne scrisse sul Giornale di Sicilia con una recensione critica dalle meravigliose parole partorite quasi di riflesso dallo specchio materiale e immateriale di un organo e di un pensiero musicale così nuovo, così diverso, così imponente anche nella sua capacità di generare suono e silenzio con la medesima potenza espressiva. Era arrivato il tuono del silenzio!

Da quella prima volta, devo dire, molte sono state le presenze di Dario Buccino all’interno delle iniziative di Curva minore e magico è stato il momento quando appresi del suo trasferimento a Palermo per formare la prima scuola per lamiera d’acciaio. Palermo, dopo le storiche Settimane di Nuova Musica, continua a essere un importante punto di riferimento per l’innovazione e lo sviluppo del pensiero musicale, e non solo: se Chiara Andrich abbia cominciato a frequentare Palermo a contatto con figure importanti come Mimmo Cuticchio e abbia seguito e documentato molti dei concerti e delle iniziative di Curva minore, o anche di Scrusci, fin da tempi non sospetti ancor prima della nascita del Centro Sperimentale di Cinematografia, questo e altro un senso deve pur averlo… a parte il clima, intendo. Gaetano Pennino, già direttore di Casamuseo Antonino Uccello, resta anch’egli esaltato dal lavoro di Dario Buccino e, da alcune registrazioni realizzate durante i concerti organizzati dalla nostra associazione, pubblica un lungo brano in uno dei tre cd allegati al volume: “Curva minore contemporary sounds musica nuova in Sicilia. 1997/2007”.

Mi ha fatto molto piacere incontrare spessissimo Paolo Emilio Carapezza a casa sua in forma privata e sentirgli elogiare, tra le poche cose forti e davvero importanti del contesto attuale, l’opera di Dario Buccino, cosa che comunque ha sempre sostenuto, del resto, anche pubblicamente e più di una volta. Non che ne sia rimasto del tutto sorpreso, conoscendo la sensibilità poetica e la conoscenza e la grande onestà intellettuale dell’ormai Professore Emerito, ma il calore con cui il Professore si sia espresso mi ha lasciato intendere la giustezza delle mie personali intuizioni nel cercare spazi da offrire alla nostra collettività dove potessero trovare una giusta e ampia collocazione le opere di Buccino. Da’altro canto il Nostro Carissimo Paolo Emilio ci ha sempre lanciato e indicato forti segnali di grande speranza riguardo alle più significative forme di sviluppo del pensiero sensibile della musica. Se non ci fosse stato, Carapezza, lo avremmo dovuto inventare. Grazie per averci risparmiato questa fatica.

Resto però convinto della mediocrità e del plagio culturale perpetrato delle strutture istituzionali, specie quelle predisposte alla distribuzione o divulgazione dello sviluppo culturale, spesso orientate da interessi di botteghino o di facili consensi invece che di occuparsi del vero e proprio sviluppo della cultura e della società, almeno anche degli aspetti più profondi, illuminati e illuminanti. Avrebbero forse bisogno di essere sponsorizzati dall’ENEL per poter immaginare qualcosa del genere?

In questo senso la scelta coraggiosa di Chiara Andrich - e del Centro Sperimentale di Cinematografia nell’accettarne la proposta – viene ancor più evidenziata nell’aver proposto al sottoscritto la possibilità d’introdurre la sua tesi di fine corso con questo film di una valenza imprescindibile per la storia della musica e della società a noi contemporanea, futuribile e sostenibile dal punto di vista dell’ecologia del pensiero e del sentire della musica.

Sull’ego deviato di Dario Buccino e delle sue fobiche invenzioni dell’esistenza, come si suole dire, si potrebbe fare un film: e infatti Chiara c’è riuscita. Quasi come nella favola della Bella e la Bestia dove la bestia non è certo la bellissima Chiara.

Il taglio di luce nelle immagini di Chiara Andrich; il perfetto montaggio che lascia respirare e scorrere in un Tempo/Spazio, di estrema leggerezza calviniana, il profondo suono e pensiero esistenziale di Buccino; la fotografia che coglie e fissa, anzi scolpisce la retina in modo indelebile; questo e altro rendono omaggio alla scuola italiana del Documentario innalzando e internazionalizzandone il linguaggio. Questo, come molti altri film che in questa sede abbiamo goduto, rendono omaggio alle qualità della matrice profondamente culturale e non bacchettona della nostra natura, manifestandone capacità oltre ogni immaginazione. Ma di ciò la politica, che dovrebbe prendersene carico facendosene anche merito, non ha il benché minimo interesse vivendo dentro uno sterco indicibile, almeno in questo contesto. Si salvano alcune eccezioni, ma sono così poche che quasi mai riescono ad avere voce in capitolo. Quasi mai… il bicchiere è ancora mezzo vuoto (come dice il Prof. Piero Violante).

Possedere consapevolezza della propria sincera, naturale genialità e porgerla al mondo senza alcun pudore esistenziale, ma anche senza il ‘bisogno’ di dovere essere riconosciuti, questo, ma non solo per questo, mi permette di indicare Dario Buccino come uno dei più grandi uomini comuni del nostro tempo.

Non comuni uomini, sottolineo, ma uomini comuni, come, cioè, comunemente ci si dovrebbe manifestare se soltanto fossimo tutti così forti da testimoniare, o più semplicemente, vivere la nostra divina umanità.

Si dovrebbe allora intuirlo come un eroe del nostro tempo, ma forse è meglio immaginarlo come una geniale persona comune. Eviterei d’immaginare Dario a ricevere una medaglia per aver salvato tal bimbo o per aver evitato tal altra strage. Al contrario: Dario ha fatto nella sua vita più danni che altro e questo film lo dimostrerà tediando tutti noi su contenuti e processi di realizzazione impensabili quanto improbabili.

Non-eroe del Nostro tempo, dicevamo, fermo restando che il cosiddetto nostro tempo non è nostro, poiché il concetto di proprietà del tempo potrebbe forse essere espresso in posizione opposta, nel senso che è il tempo a essere proprio in quanto tale, e di nostro potrebbe essere immaginabile soltanto quell’acquisizione di consapevolezza, quella lucidità nel descrivere le curve del tempo che Dario e pochi altri nella storia dell’uomo e dei suoni sono capaci di vivere. Non intendo per questioni di qualità del pensiero, o di estetica, o, men che meno, per questioni di tecnica musicale: l’originalità e la profondità, accostate alla coerenza esistenziale, pongono Dario su un piano abbastanza differente rispetto a chi professa il mestiere di compositore o vive gli ‘ambienti’ della musica. Dario non è nulla di tutto ciò. Forse è semplicemente un sano folle dall’ego esaltato, affascinante e un po’ paraculo, ma non si nasconde mai!

Potremmo eventualmente asserire, utilizzando metafore attraverso una retorica del linguaggio molto demodé (si scrive così?), che Dario Buccino sia un coglione, anzi due coglioni. Mi correggo ulteriormente: che abbia due coglioni così, a forma di corde vocali, o di lamiera, o di cervello emotivo capace di vivere dentro e fuori in ogni altra forma immateriale.

Non è un caso che sia precedentemente venuto fuori con questo immaginario legato agli organi di riproduzione della specie – e mi dispiace se non mi esprimo al femminile, ma è solo per una questione di effetto sul linguaggio: vi immaginate se mi fossi espresso sostituendo alla parola coglione la parola ovaia? Non avrebbe funzionato allo stesso modo! Siamo così vincolati dall’immaginario genitale che si svilisce ogni senso anche al vuoto di senso della stupidità.

In ogni caso vi assicuro che Buccino ne ha sofferto molto di questa e altre vicende legate ai genitali, fin dalla sua infanzia quasi negata: il risultato si è forse potuto notare in certe sue propensioni erotiche, naturalmente espresse senza nemmeno tanti condizionamenti. La lamiera è così tagliente da lasciare ogni dubbio alle derive sadomasochiste da Era Post-Industriale.

Tornando a noi.

Il suono di Dario porge al presente, ma coniugato al passato come al futuro, un verbo sonoro di enorme profondità, densità e spessore paradossalmente inversamente proporzionale agli spessori delle sue lamiere.

Dario sembra quasi incarnare oggi, riportandolo alla sua perenne attualità, il mito della caverna porgendo al mondo la propria originale versione di questo topos, ben consapevole che pochi ruffiani, e qualche onesto, potranno disperarsi, ma non insieme a lui, per l’incapacità del mondo contemporaneo – e forse anche quello futuro – di vedere, percepire, respirare, sentire, questa luce veritiera che arriva fin dentro la propria caverna. Il cuore di Dario è oltre la caverna, vive nella luce, oltre ogni ostacolo materiale. Fatto di materia umana si libera e si libra nella più alta immaterialità, dove luce e suono si fondono per fare uomo, per fare musica, per fare dio. Come nei più antichi miti della nascita di tutte le cose, il tuono di Dario Buccino intona il mondo, la vita, tutta la sua vita, nella perfetta armonia delle sue forme.

Fuori da ogni schema accademico, libera nell’etere il senso del senso del senso, e ciò attraverso un processo di perfetto equilibrio tra Eros e Tanatos tipico della forma classica, se proprio vogliamo riferirci a categorie della storia occidentale. Oppure potremmo forse immaginare una naturale purezza della quintessenza di umanità, quella di Dario, manifesta e chiara tanto chiara e cara come la nostra regista, Chiara Andrich, principessa/regina di una purezza d’animo e di profonda leggerezza da cogliere, documentandola in perfetta sincronia, il senso di ciò che oggi e meglio possa esprimere quel qui e ora, quell’hic et nunc che rappresenta Spazio e Tempo in proiezione retrograda e futura, cioè: contemporaneamente!

Forse non è un caso che la felicità esistenziale di Dario coniughi, in questa circostanza, la felicità del respiro interiore di Chiara che trova nella poetica di Dario uno specchio, o comunque una profonda empatia, un sorriso del tempo agito insieme, non con lo stesso respiro, ma come un sentire della stessa necessità esistenziale. Come per il piacere che si prova nel poter vivere riconoscendosi.

Donare a noi questa grazia è un atto di sublime semplicità che, felice, ci riempie la vita: speriamo soltanto che continui perenne a vibrare.

© 2013 Lelio Giannetto