Ero già a me n° 44

[ENGLISH VERSION]
Per lamiere HN®, voci, pareti di cartongesso

Ogni moto o stato dell'animo è sempre anche, in una certa misura, moto e stato del corpo.
E questo si sa.
Un'azione del corpo che produca suono, quindi, crea la possibilità di un contagio esperienziale, veicolato dal suono stesso: ciò che sento io - calato nell'azione imbevuta di suono - senti (in un certo senso) anche tu - investito dal suono imbevuto di azione.

Compongo assumendo come centro focale l'atto corporeo mio e dell'interprete (e spesso le due cose coincidono, facendomi esecutore delle mie composizioni).
Tento di accendere l'intensità esperienziale di ogni atto, scomponendolo in parametri che ricompongo in funzione dello svolgimento della mia Visione.

Non si tratta banalmente di far sentire ciò che sento dentro mmme. Finirebbe tutto lì.
Si tratta di trovare un rapporto corporeo (e quindi interiore) col corpo fisico e col corpo acustico dello strumento. E - come nell'incontro erotico - non solo esprimermi, ma aspirare a impugnare, solcare, modulare l'incontro stesso, tendendolo ad abissi e vette oscure, limpide, numinose. 

Emerga l'essenziale risonanza affettiva del suono.

Occorre individuare lo strumento giusto. Un oggetto al di fuori del corpo. O una funzione interna di quest'ultimo. Quanto più l'oggetto scelto sarà umilmente lontano da origini musicali, tanto più sfacciatamente libero e vergine sarà l'incontro (per noi e per chi ci ascolta: realtà irriducibili l'una all'altra che devono essere trattate a paradosso - come fossero la stessa). E quanto più l'oggetto sarà ricco, già in sé, di forze acustiche, tanto maggiore potrà essere la carica psichica dell'ordigno compositivo e performativo. Duttilità e resistenze specifiche, poi, saranno i doni portati dalla materia al nostro incontro.

Lamiere d'acciaio, corde vocali, pareti di cartongesso. Non si tratta di cavare, da questi mezzi, tanti suoni e allestirne ricche combinazioni. In Ero già a me n°44 ci sono molte meno invenzioni di quante ne sarebbero richieste dal tedioso protocollo delle vetrine sperimentalistiche. C'è però tanta invenzione all'interno sottile di ciascuna azione esecutiva, affinché viva.

Preferisco ripetere:
affinché viva.

Il nudo atto corporeo vive, ma non basta. La nuda materia sonica vive, ma non basta. O forse bastano - a patto che si spoglino e allo stesso tempo si adombrino a vicenda. Semplicità complessa da perseguire e, poi raggiunta, facilissima. Ancora una volta: come nell'incontro amoroso. 

L'acciaio, col suo sgorgo di armoniche, alla minima sollecitazione già tende a trascendere la propria ottusa ovvietà materica.
Trascendere l'ovvietà significa: trascendere l'ovvietà. Trascendere l'ottusità significa: farsi attraversabile, permeabile di me. L'acciaio ne è in grado, più del ferro e di altri metalli che ho assaggiato.

La voce è materia attraversabile e permeabile per eccellenza. Ho distillato azioni vocali che vibrassero, già in sé, di forza seduttiva. Intorno a quest'ultima ho cercato di creare compositivamente il giusto vuoto, affinché tale forza rifulgesse e risuonasse.

Le pareti di cartongesso (e le stesse lamiere), infine, offrono la propria superficie allo sfregamento di palline di gomma ("SuperBall", ovvero "palline magiche" in Zectron) scartavetrate e montate su una sottile bacchetta in PVC. L'azione di sfregamento, modulata in pressione e velocità, incontra trasparenze e opacità completamente diverse quando viene imposta alla lamiera o alla parete, offrendo esiti opposti ma internamente analoghi.

Per concludere ecco l'ulteriore, raffinato strumento che fa di questo disco un universo di udibilità fortemente diverso da quello che, solitamente, porgo dal vivo nei miei concerti.
Il microfono...
Ne ho usati di diversi tipi, regolati su sensibilità altissime o contenute, collocati a grande o a ravvicinatissima distanza dagli oggetti vibranti, imponendo e scavando in me stesso comportamenti corporei e compositivi diversi.
Non solo quindi la ripresa realistica del mio suono [1].
Sarebbe, di nuovo, tutto lì.
Ma avvicinare le forze della mia musica con orecchio, ancora una volta, libero e vergine. Stabilire un nuovo rapporto affettivo e sensuale, e lasciare che sia questo a offrire o negare, alla mia facoltà d'invenzione, le forme dell'incontro. 

La significazione di queste forze e di queste forme sarà poi questione dell'ascoltatore - cioè anche mia.
La massima soggettività ha sempre una chance di incontrare la vera universalità. 

Perché Solo e Collettivo è ogni corpo che scende in disperazione o sgorga gioia.
E' corpo nostro. 

Note

[1] Il suono ottenuto, comunque, nasce esclusivamente dalla relazione tra lamiera e microfono, senza l'intervento di alcuna elaborazione elettronica.

Copyright © Dario Buccino 2006